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E alla fine sono arrivati …

… i miei primi 30 chilometri li ho raggiunti (2 ore e 42), chi l’avrebbe mai detto.

Dopo i lunghetti, per me classici da 16 o 18 km , è giunto il momento di allungare il giro e cogliendo al balzo l’invito di Carlo e Roberto mi sono accodato al loro percorso.

Un sabato mattina primaverile, fresco piacevole alla partenza e sole caldo all’arrivo con abbronzatura incorporata. E’ stato faticoso intorno al ventesimo, inutile negarlo, con le gambe pesanti ho avuto anche il brutto pensiero di dovermi fermare, ma si sa che per correre bisogna avere almeno due doti: doti fisiche e forza di volontà (insomma essere testardi). Escludendo la prima, in testardaggine mi difendo bene e ricordando al mio cervello che il problema delle gambe non era un suo problema (non ricordo dove l’ho letto, non ricordo nemmeno se dice proprio così, ma in genere funziona) ho superato quel momento (importante anche la vicinanza di Carlo e Roberto). Man mano che i chilometri scorrevano incredibilmente i dolori ai quadricipiti iniziavano ad affievolirsi e ormai il traguardo era praticamente a vista. Chissà quante ripetute ho fatto in quel tratto di strada, ma con 27 km sulle gambe è davvero tutt’altra cosa, comunque ci siamo, e ci sono anche le forze per fare qualche allungo finale.

Ringrazio Carlo e Roberto per il bellissimo e proficuo allenamento.

Marco P.

La vita è bella perché è piena di “prime volte”.
A Seneghe, ieri, ero al “sardinia winter trail”, una gara di corsa in montagna. Ho partecipato alla gara “top” di 27 km con 1000m D+ mentre, contemporaneamente, si svolgeva anche la “ultra” di 52 km.
A cinquant'anni suonati ho vinto la mia gara. È stata una vittoria un po' fortunosa, risicata, inaspettata ma, proprio per questo, molto emozionante.
Bellissimo il percorso che ha portato alla vittoria. Pieno di finestre aperte su panorami spettacolari, di acqua che scende dal letto e scorre libera, di nuraghe e alberi millenari, mulattiere in selciato, fatica.
Al decimo km ero settimo assoluto e quarto fra i “top”. Salendo come un salmone lungo la mulattiera invasa dall'acqua, nonostante allenamenti specifici con i piedi nell'acqua e ripetute con la pinna caudale, non ero riuscito a tenere il passo di quelli davanti e nella successiva discesa avevo perso ulteriormente terreno. Davanti a me non vedevo più nessuno e dopo aver fatto qualche considerazione sull'età che avanza e aver ricordato le sagge parole delle mie pantofole imbottite, mi ero rassegnato a fare una gara da pensionato in gita. Qualche chilometro dopo, a metà della seconda salita, il percorso è entrato nel bosco e lontano davanti a me ho cominciato a scorgere delle figure umane; l'ambiente selvatico mi ha fatto scattare nel cervello l'istinto del predatore e ho aperto la caccia. Aumentando la respirazione ad un livello appena inferiore al rantolo, guadagnavo visibilmente terreno. Quando davanti iniziavano a camminare continuavo a correre per qualche secondo ancora. A fine salita, al 17esimo chilometro, ero ancora sesto assoluto e quarto dei “top”, con la lingua di fuori ma con il fiato sul collo del terzo e del secondo. Ormai sentivo odore di podio.
Finita la salita da lupo son diventato falco. Mi sono accorto che nelle discese tecniche andavo più veloce degli altri due e con una picchiata li ho superati agevolmente e ho guadagnato terreno. Nonostante una sosta di una ventina di secondi per allacciare una scarpa con le mani intirizzite, sono riuscito a ripartire prima che mi raggiungessero, per poi ributtarmi giù per la mulattiera in selciato e riprendere un buon margine. Ero ormai felicemente lanciato verso un ottimo secondo posto, quando, improvvisamente, dietro una curva della strada che riportava a Seneghe, a circa 2 km dall'arrivo, ho visto il primo non più di 150m avanti a me. Mi sembrava di essere sazio ma alla vista di una preda così succulenta la salivazione è aumentata e in meno di un chilometro l'ho raggiunto. Mi ha detto che stava andando piano per crampi. Gli ho fatto un gesto di finta pietà e l'ho lasciato. Sono entrato in paese euforico pregustando il trionfo e due persone mi hanno accolto festosamente.
Come dicevo, la vita è bella perché è piena di “prime volte”. In realtà non è stata la mia prima vittoria. Allora cosa c'entra?
Ecco: dopo ore di festa, chiacchiere, arrivi, birre e premiazioni, stavo rientrando in macchina ed ero quasi arrivato a casa, quando, dopo un'ora di sofferenza, non ho resistito e mi sono dovuto fermare a lato della strada a pisciare, contro un muro, con le macchine che mi sfrecciavano dietro. Per la prima volta nella vita me ne sono fregato di essere visto e di cosa pensassero di me; non ero niente di più che un uomo felice con qualcosa in mano e la sensazione di sollievo è stata incredibilmente piacevole. Forse il gusto della vittoria è anche questo.
Il fango è la mamma primordiale da cui, secondo la bibbia, l'uomo sarebbe nato. Oggi a Selargius le sue braccia materne uscivano dalla terra a carezzarmi i polpacci cercando di trattenermi: “dove corri, che fretta hai, stai già andando via? Resta ancora un po', un minuto ancora …”
Tutti lo evitano come fosse merda. Somiglia ma l'odore è diverso, sa un po' di vecchia zia. L'acqua scioglie e libera dalla terra residui organici che un tempo forse facevano parte dei nostri antenati: gli spiriti di grandi uomini o forse solo le loro autorevoli feci. Altroché merda.
La mia discendenza da progenitori suini mi ha lasciato, insieme ad altre somiglianze genetiche, un atavico piacere nell'entrare nella melma. Mi diverte potermi inzaccherare fino alle mutande senza che il papà mi sgridi perché il papà ora sono io. Mi divertono le sorprese che cela, gli schizzi marroni, le mezze scivolate; è un po' come correre al buio, i miei piedi sono reattivi e riescono a superare le insidie. Sono un figlio del fango e nonostante i 25 km corsi ieri in montagna, la mancanza di scarpe chiodate, nonostante la mancanza di allenamento specifico, sono riuscito a conquistare un insperato podio di categoria. 
“Torno subito, mamma, ancora un giro; aspettami, non ti seccare … ” 
Come ho già scritto (http://pisanilorenzo.blogspot.it), le mie condizioni fisiche e mentali erano precarie ma ho voluto ugualmente provare a puntare in alto o, per lo meno, a non spararmi direttamente sui piedi.
Prima della partenza piazza S. Carlo è piena, fa fresco, non piove e l'atmosfera è carica di allegra eccitazione. Faccio qualche saltello sul posto per simulare un riscaldamento. Si sta bene. L'attesa non pesa anzi, allo sparo dispiace quasi dover partire. Le griglie funzionano bene e noi privilegiati del club “sub3” riusciamo a correre bene quasi subito. Obiettivo di partenza 3 ore, da allungare a piacimento secondo le sensazioni: pugnalate nella coscia +10', cuore che scoppia +20' …
Un occhio allo scheletro di cronometro che ho tenuto in mano dal primo all'ultimo km, l'altro occhio ai palloncini dei pacemaker delle 3 ore. Decido, per cominciare, di tenermeli dietro in modo da correre fuori dal mucchio e avere un minimo di margine.
Non mi sento molto a mio agio. Al settimo km mi sento già affaticato; non è presto per il muro? Riesco comunque a correre a ritmo regolare qualche decina di metri avanti ai pacers e il percorso scivola via: Moncalieri e Nichelino, periferie operaie e accoglienza calorosa. Poi un lunghissimo viale di campagna. In fondo, immersa in un boschetto, riconosco la palazzina di caccia di Stupinigi. I chilometri passano relativamente veloci: non sto benissimo ma non faccio ancora troppa fatica. Un gruppone di podisti mi raggiunge e mi ingloba. Sono quelli delle 3 ore, gente ambiziosa. Qualcuno corre agevolmente ma forse sono solo i pacers, molti ansimano, uno corre piegato, un altro procede a scatti. Li vedo già condannati: so che pochi arriveranno a coronare il loro sogno.
Mi lascio trascinare fino alla palazzina e poi lungo la leggera discesa verso Torino. La mezza arriva una trentina di secondi prima dell'ora e trenta: margine risicato che però aumenta lungo la discesa. I pacers vanno veloci. Troppo veloci. Anche quando finisce la discesa continuano ad un ritmo superiore a quello per le 3 ore. Siamo quasi al trentesimo chilometro, ho quasi un minuto di margine per cui preferisco andare al mio passo e li lascio alla loro folle corsa con qualche povero malcapitato che li segue rischiando di scoppiare. Non resto comunque mai solo e mantengo pieno controllo sui tempi, anche troppo. Ogni chilometro calcolo i secondi di vantaggio rispetto all'andatura prevista per le 3 ore, li divido per i km mancanti e ottengo la nuova andatura per arrivare in 3 ore. A meno 6 km ho ancora un minuto di vantaggio, dieci secondi a km e invece di 4'16 posso andare a 4'26. Ci avviciniamo al centro, poi ci riallontaniamo. Riconosco le strade, stiamo percorrendo a zig zag i grandi viali di Torino. Il chilometro successivo lo corro in 4'21 e i 5 secondi risparmiati li posso dividere 1 per ogni chilometro che resta e andare a 4'27 … continuo con questi conti e l'andatura rallenta ma tende asintoticamente sempre alle 3 ore. Mi ci adagio sopra. Passo davanti a casa di mia madre ma lei non c'è. Supero molti atleti, qualcuno reagisce tenendo la mia andatura per un po'. I palloncini delle tre ore, dopo la corsa pazza si sono quasi fermati e si avvicinano a vista d'occhio. A 2 km dall'arrivo potrei permettermi un passo di 4'30 ma finalmente qualcuno mi supera. E' una ragazza olandese con un uomo dietro, probabilmente il compagno, che la sprona con urli fiamminghi. Le urla mi svegliano e provo a seguirla. Al quarantunesimo, appena entrati in via Roma, si sente il boato della folla; mi corre un brivido lungo la schiena e comincio a volare. Il traguardo è ancora lontano ma riesco ad intravederlo in fondo al lungo rettilineo, dietro al cavallo di bronzo. L'incitamento continuo della folla fa sparire la stanchezza. La sensazione è così bella che smetto di fare calcoli, voglio solo correre più veloce che posso. Non sembra molto sensato spremersi così per arrivare in 2h59'17 invece che in 2h59'59 ma è bellissimo e mi resterà in mente a lungo. Al traguardo, lo speaker fa il mio nome; io sono raggiante e mia madre si commuove: sapevamo che quello era il massimo a cui potessi aspirare.
 
Quando si riparte?
Sole, pioggia, sole. Si preannuncia una bella giornata schizofrenica. Osservo con distacco l'entusiasmo degli atleti e il panico degli organizzatori. Poverini come sono agitati; se non trovano un medico non si può gareggiare. I miei occhi mi guardano stralunati dal lampione: sono anch'io organizzatore e pure atleta ma sono lì tranquillo che chiacchiero. Ecco Stefano:
“Alle prossime regionali mi presento candidato ...”
“Senti: tu sei medico, vero?”
Si gioca sul filo del voto di scambio ma alla fine la sua disponibilità è sincera come la mia riconoscenza.
Cominciano le gare. Aiuto i giudici federali a dirigere il traffico. I giovani li facciamo girare larghi le donne anziane sul circuito più breve che se devono saltare il fosso ne perdiamo una ad ogni giro.
Tocca agli uomini di mezz'età: mi metto in griglia. Tutto pronto per la partenza. Quasi. Manca solo il segnale di via libera da un fantomatico “addetto al percorso”. Ma che cazzo sta facendo 'sto qua? Vogliamo partire? Finalmente lo chiamano per nome. Sono io. Esco dalla griglia, con un gesto rapido della mano nomino un “vice addetto al percorso” e mi rimetto in griglia. Bang! Sono un po' indietro ma non importa, preferisco partire tranquillo. Il percorso è adagiato su un pendio al 3-4%, continuo sali-scendi, curve secche fra gli ulivi; il terreno, intinto nello scroscio di pioggia, è molle e a tratti scivoloso, i polmoni sputano quantità di anidride carbonica da effetto serra fulminante ma le gambe reggono e pian piano recupero posizioni. Arrivo intorno alla ventesima e, come sacchettaro di talento, agguanto la posizione perfetta: terzo e ultimo dei premiati della mia categoria.
Peccato per il premio. Mi sono sentito un po' umiliato da quella bottiglia di vino da due soldi e quel barattolino di vaselina piccante. Ho protestato con gli organizzatori dicendo "chi è quell'idiota che ha scelto, acquistato, confezionato e trasportato questo sacchetto di m....?" Mi hanno risposto, ridendo, che ero stato io.
Belli i cross, 20 minuti di fuoco e divertimento. Mentre un muscolo si massacra, l'altro si riposa: una staffetta muscolare con continui passaggi di testimone e massaggio fisioterapico incluso nel percorso. Grande, atletica Capoterra, la mia squadra, a volte litigiosa ma dalle risorse incredibili. Ho visto un boschetto di eucalipti trasformarsi in un palco in meno di un'ora, parti della pista da cross nascere, in un paio di giorni, dal sottobosco incolto e altre talmente lisce da poterle correre a piedi nudi.
 
Bella giornata. Io e mi, l'atleta, abbiamo aspettato me, l'organizzatore, che finisse di togliere i nastri dal circuito. Finalmente, stanchi e soddisfatti, siamo saliti in macchina. Io guidavo, gli altri due si sono addormentati prima che arrivassi a casa … shhhh.

Domenica 26 ottobre 2014

Mentre c'era ancora chi tentava di recuperare quella famosa ora di sonno persa il 30 marzo scorso, io e Diego eravamo già davanti all'ufficio postale di Capoterra, non per rapinarlo come accade spesso nei paesi della Sardegna o dell'Italia in generale in questo periodo, ma per iniziare "il lungo della domenica", in vista della mezza maratona di Cagliari che si terrà il 7 dicembre.
Partenza abbastanza tranquilla su tratto pianeggiante, dopo i 4 km aumentiamo la velocità e lasciate alle spalle le lottizzazioni di Residenza del sole, La maddalena spiaggia e Frutti d'oro, ci avviamo verso Poggio dei pini passando da Rio San Girolamo, iniziando così la salita.
Cerchiamo di non rallentare troppo dato che le energie sono ancora disponibili, sarà l'aria fresca mattutina che da una mano. La salita è lunga, leggera all'inizio con aumento graduale e costante. Arriviamo a Poggio dei Pini, superato il primo vero strappo siamo a bordo lago, percorriamo tutto il sentiero (un po di trail running) e rientriamo in strada, altra salita con altro strappo finale. Siamo arrivati all'incrocio per Santa Barbara, finalmente si respira nella discesa, ma ormai è già finita, si risale per la strada dell'Hydrocontrol, pendenza non esagerata ma lunga abbastanza da farsi sentire sulle gambe. Nel tratto finale la salita si fa davvero dura, la pendenza aumenta notevolmente, ma ormai è l'ultima vera fatica siamo allo scollinamento verso Capoterra con ripida discesa, momento utile per eliminare le tossine, e riossigenare il motore. Ultimi due chilometri con andatura di recupero (ma non troppo).
In conclusione ottima uscita, percorsi 18,5 km in una splendida mattinata, con il sole e fresca al punto giusto. Se poi ci si allena anche con un ottimo compagno di corsa, "l'uscita lunga" non può che essere spettacolare!

Chi vuole può vedere il circuito  quì

 

   

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